Sono passati 19 mesi. Se c’è una cosa certa, è lo scandire del tempo che passa.
Tutti si aspettano che passando il tempo la tua voglia di andare avanti aumenti, restano in attesa del lieto fine, magari qualcuno con cui piazzarti, riuscire a vederti felice. Passano i mesi e la cosa dovrebbe essere superata, o comunque il confine del peggio dovrebbe essere stato valicato. La vita continua, dai.
Il passare del tempo attenua i ricordi, sì.
Ricordo i primi tempi passati a parlare da sola come se lui potesse ancora sentirmi, a vederlo seduto nel divano, e adesso invece ci sono dei momenti in cui sono così carica di cose da fare e a cui pensare che semplicemente mi chiedo “ma come era la vita prima? Come si faceva quando si faceva le cose in due?”. E davvero, giuro, non me lo ricordo.
Ci si abitua anche a stare soli, questa è la verità, che non vuol dire neanche starci bene, è che è così e basta e sola ti devi bastare. Fai le cose come una macchina da guerra e te la dimentichi, la vita di prima.
C’è questa linea netta, tra ciò che eri prima e ciò che sei dopo.
Un’altra vita. Un altro mondo.
E quello di prima per forza di cose piano piano lo scordi, si affievolisce il ricordo del suo sorriso, il suo profumo per la casa, vedi ancora quei pochi suoi vestiti lasciati appesi negli armadi e non fa quasi più male, sono stati integrati dal mobile stesso.
Questo modo in cui la vita va avanti uguale, prepotentemente e violentemente, sempre e comunque, è una delle cose più difficili da accettare. Ma appunto, travolgendoti in pieno con la sua irruenza non ti lascia scelta. È così e basta. Anche se lui non avrebbe mai voluto, anche se lui piangeva al solo pensiero “della merda in cui vi lascio”.
Sì, amore, ci hai lasciato nella merda.
Ma io questa merda ho imparato a ingoiarla, mi sono armata di coltello e forchetta, l’ho tagliata in piccoli pezzi e l’ho mandata giù lo stesso, che non avevo scelta.
Poi non so come arriva un giorno che ti ricordi anche di vivere. Che ti scopri troppo invecchiata e imbruttita e sola.
Guardi tuo figlio e vieni presa dalla consapevolezza che crescerà presto, e non essendo mai stato di proprietà altro che di se stesso, né tua né di suo padre, farà la vita che è giusto che si costruirà, mentre tu, in un angolo, ci prenderai quasi gusto a continuare a ingoiare merda, o perlomeno ti sembrerà l’unica soluzione possibile, ormai che ti ci sei abituata.
E allora ti viene voglia di provare a ritrovarti, perduta chissà dove sei.
E di sistemarti un pochino i capelli e il trucco, che troverai rinsecchito ma ancora utilizzabile nella profondità di qualche cassetto.
E scoprirai assopita una immensa voglia di ridere, e essere toccata e ascoltata e guardata.
E, parafrasando quanto detto da una cara amica te ne andrai in giro con questo pezzo di cuore sanguinante in mano in cerca di donarlo al migliore offerente per poi scoprire che il miglior offerente non esiste, non c’è, perché il miglior offerente altro non sei che te stessa, ma è ancora semplicemente troppo dannatamente difficile amarti.
Nessun cavaliere ti salverà, non è successo da ragazza e non succederà adesso, a 40 anni suonati, con una marea di responsabilità sulle spalle e un altro essere umano che dipende da te.
Ti troverai ancora a guardare le famiglie in giro per strada, in un pomeriggio di carnevale, e sarai ancora arrabbiata per quello che ti hanno rubato, ma desiderosa di ritrovarlo ancora, col trucco quasi impeccabile e il cuore rimesso in petto, ma ancora troppo sanguinante e con un ritmo così troppo fuori tempo rispetto a questo pazzo mondo che è come se si fosse fermato a 12 anni fa.
Questa è la tua vita, bella, che aspetti ancora ad abituarti?
La vita Prima di te.
La vita Dopo di te.