L’INCOMPLETEZZA
C’è il grande mandala che ti eri fatto stampare. Avevi detto che colorarlo ti faceva meditare e così ti mettevi fuori, in tranquillità, sul balcone.
Ogni tanto sbirciavo di nascosto, non volevo disturbarti.
Avevi fatto le cose per bene perché solo così le facevi: i pennarelli professionali giusti, la tavolozza di legno per sorreggerlo.
E adesso sta là, in camera, appoggiato al muro, a ricordami ogni giorno l’incompletezza delle mie giornate e la precarietà della vita. Mi dico che un giorno lo finirò, ma in realtà non so se ne avrò mai il coraggio.
L’ ASSENZA
Quando una persona non c’è più vivere in una casa dove lui ha vissuto è una tortura e allo stesso tempo un conforto.
Ogni tanto mi aggiro per casa in cerca di cose tue, che non sono difficili da trovare. Tu la casa la riempivi. In ogni senso.
Cavi, fili, vestiti, prese, zaini.
Spruzzo il tuo deodorante nell’aria. Non avevi un profumo che era solo tuo, anche i deodoranti li cambiavi spesso. Ho pensato essere una ingiustizia, perché mi avrebbero aiutato a sentire il tuo odore.
Non trovo il tuo odore. Apro i cassetti pieni di tue magliette ma sono troppo pulite, il loro è odore di bucato, impersonale.
Provo a cercarti, in certi momenti non ho pace. Dove sei?
Frugo, rovisto, guardo foto, ascolto messaggi vocali che non mandavi quasi mai.
Di nuovo un’ ingiustizia. Non sentirò più la tua voce, se non con vecchi stupidi messaggi vocali che dicono cose come “che faccio con le vongole, le lavo?”
Dolce quotidianità… ma cosa non darei per risentire un ti amo. Un semplice ti amo.
Come quello che ti ho detto mentre eri semi incosciente, quando rispondevi sì o no a malapena. Ma a quel ti amo invece hai risposto, lento, ma chiaro, hai sorriso pure, hai detto “anche io”, con un filo di voce.
Ho il momento impresso nella mia mente ma cosa non darei per riviverlo un’altra volta.
Entro in sala e mi pare di vederti. Seduto sul divano, a guardare il solito programma di cucina.
– Ale ma perché guardi un programma di cucina tu che odi cucinare?
Ti chiedevo.
E tu rispondevi, semplicemente:
– Perché mi piace.
Te lo avrò chiesto 100 volte e tu 100 volte mi avrai dato la stessa risposta.
Stare insieme è anche quello sai, fare le stesse domande e sentire le stesse risposte. Per anni.
LA MALATTIA
Sento questo vuoto immenso, difficile da descrivere. In questi mesi la tua malattia è stata anche un po’ la mia. Visite, esami, prelievi, appuntamenti, informazioni, mi sono attivata sotto più fronti e non avevo un attimo di riposo, era quasi un secondo lavoro.
Stacca, mi dicevi. Basta farmi da infermiera, basta leggere di cancro, di cure, stacca la testa.
Ma io non mi volevo arrendere, volevo non avere rimpianti.
E adesso che non ci sei più e il carico è crollato di botto io non mi sento più leggera, anzi. Mi sento solo, appunto, vuota.
Sei stato allettato 10 giorni e io in questi 10 giorni ho oscillato tra il “non ce la faccio più a vederlo così” e il “va bene, l’importante è prendere quello che riesce a darmi, anche se poco, anche se mezzo sorriso in 12 ore”.
Tu non la volevi mollare la vita, opponevi resistenza, seppur quasi del tutto incosciente c’era quella parte di noi istintiva che lotta per la sopravvivenza che non ti lasciava andare via.
E poi quando ho capito che tenerti qua sarebbe stato solo egoismo ho iniziato a parlarti, a dirti di dormire, di rilassarti, perché potevi mollare la presa che avrei pensato a tutto io, che ce l’avremmo fatta, che sarei stata forte.
“Sei troppo più forte di me”.
Mi dicevi spesso, sorridendo.
Ma io non ci ho mai creduto veramente sai?
Eri la mia ancora, il mio bastone. Senza sono solo una vecchia auto dalla buona tempra ma col motore lacerato.
E quando hai esalato l’ultimo respiro io mi ero incredibilmente addormentata, ero stanca nonostante l’ora, ho avuto questo impellente bisogno di chiudere gli occhi e mi sono spostata di stanza.
Li hai chiusi anche tu. Stringendo le mano di chi ti ha messo al mondo, ed è stato più giusto così.
JACOPO
Ho detto a Jacopo la verità, senza grossi giri di parole… una verità adeguata a un bambino di 5 anni.
Ha pianto.
Mi ha fissato per 4, 5, secondi prima che il suo viso si trasformasse in una autentica smorfia di dolore. Come se fosse un adulto, il dolore era di cuore e testa, come chi capisce completamente una circostanza e il valore delle parole.
E così ho pianto anche io, china sulle sue ginocchia con lui che mi accarezzava i capelli.
Gli ho chiesto se avesse domande da farmi mi ha detto di no.
Da allora le sue domande sono sporadiche, precise, non ripetitive. È ritornato il bambino qual è e le sue sono domande da bambino.
“Dove vanno le macchine delle persone morte?”
“Ma se gli mando un messaggio al cellulare lo vede?”
“Quindi non lo vedo più? “
“Ma ora che è morto posso prendere la sua macchina fotografica?”
“Ma se il papà è morto, e poi muore Masua e poi muori anche tu e poi anche io… chi rimane?”
IL SALUTO
Non mi avevi mai parlato di come volevi i tuoi funerali, forse perché non hai mai accettato a pieno quel destino che i medici dicevano segnato, forse perché pensavi di avere più tempo, forse perché non era poi così importante.
Mi hai solo chiesto a più riprese di cremare quel corpo che “non mi appartiene più”, e sei stato accontentato.
Ti abbiamo cremato con due disegni di Jacopo, i tuoi occhiali, un rosario e un braccialetto regalatoci al centro Buddhista.
Ho cercato di farti fare una messa non centrata troppo sul vangelo, sarebbe stata una ipocrisia per noi che non entravamo in una chiesa da anni.
Ti ho scritto una lettera ma il prete era straniero e ha storpiato alcune parole. Ha detto schifo anziché schivo. Mi è scappata una risata. Lo avresti fatto anche tu. Avresti detto “oh e ti pareva”.
(La riporto qua)
Poi abbiamo messo una bella canzone che parla di amore, dolore e cura: abbi cura di me di Simone Cristicchi, prendete due minuti per ascoltare le parole, ne vale la pena.
La barchetta di cartone che avevi costruito con Jacopo è stata riempita di fiori e appoggiata sulla bara.
Ho guardato verso la tua parte per gran parte della messa, per ricordarmi che era tutto vero.
Per realizzare che davvero stava succedendo a me.
IL FUTURO
Eri un’anima bella sì, lo dico senza retorica. Non eri certo perfetto, anzi… quante litigate.
Ma eri buono e pieno di amore e capace come pochi di perdonare e totalmente incapace di portare rancore.
Eravamo la tua vita, e un amore così grande non può morire.
Io non ci credo che possa finire tutto e quindi non me ne frega niente se è una proiezione o illusione ma io so che non finirà. Ti sei solo spostato dall’altra parte.
Hai cambiato stanza, come me nel minuto in cui lasciavi questo corpo.
Ti aspetto, aspetto un tuo cenno perché so che ti farai sentire, so che sei qua in giro da qualche parte, adesso ti nascondi e non so bene il perché, forse aspetti che il mio cuore sia meno urlante e meno disperato.
Ma piano piano imparerò a calmarlo, e allora mi troverai là, ad aspettarti.
AGGIORNAMENTI
Da diversi giorni Jacopo dal centro estivo mi portava a casa delle piume. Non ci avevo fatto troppo caso, poi ieri mentre eravamo al parco mi ha detto “guarda mamma questa piuma me la sono trovata proprio in testa”.
E anche là non ho voluto sentire. Quando siamo chiusi non sentiamo. Niente chiude ermeticamente quanto il dolore.
Poi stamattina eccola là, un’altra piuma. Appoggiata proprio vicino allo sportello della mia macchina, impossibile non notarla, impossibile non pensare.
Grazie.
Ci ho messo venti minuti a leggere tutto perchè sto piangendo come una bambina. Non so per quale motivo capitino queste cose, forse un motivo non c’è, tutto sommato: è la vita, la morte, la ruota.
Ma a te voglio bene e allora è solo un dolore sordo leggere le tue parole. Non serve a niente, ma ti penso costantemente, ti abbraccio col pensiero, vorrei poter conoscere un trucco per concedere un momento di tregua al tuo strazio. Ma non lo conosco.
Non mi resta che abbracciarti, a distanza.
Non ti conosco, ma il mio bambino ha l’età del tuo e farebbe le stesse domande, se succedesse. Tanto basta a sentirti vicina. Un abbraccio, dal profondo del cuore.
Ciao Chiara,
ho quasi paura a chiederti come stai. E me ne scuso. Attraverso le tue parole trapela tutto il dolore che ti pervade. Mi spiace, infinitamente. Sono sicura che in tanti già te l’hanno detto ma mi voglio ripetere. Il realismo con il quale descrivi il tutto è toccante. Lascia senza fiato. Apre solo a profonde e dolorose riflessioni. Grazie per aver condiviso tutto ciò. Jacopo ha una mamma speciale, onesta e coraggiosa. Ti abbraccio fortissimo.
Grazie. Io dico spesso che è il mio personale e privato inferno, impossibile descrivere davvero, è una cosa che va affrontata e basta, sperando di vedere ogni tanto un po’ di luce. Un abbraccio