“Vivere!
È un po’ come perder tempo
Vivere e sorridere dei guai
Così come non hai fatto mai
E poi pensare che domani sarà sempre meglio
Oggi non ho tempo
Oggi voglio stare spento
V.Rossi”
16 gennaio 2019
L’anno nuovo è appena iniziato. Ho mandato un paio di curriculum per due posizioni che sembra proprio facciano a caso mio. Jacopo ha iniziato l’asilo da poco. Al momento del distacco piange, ma poi si placa subito, dicono.
Quando lo vado a prendere è sereno.
La casa nuova ci piace, anche il paesino non è male, lontano dal caos, pieno di verde, come volevamo noi.
Ale è molto contento del nuovo lavoro, è motivato e alla fine rientra a casa anche a un orario decente.
Va tutto bene. Si ricomincia.
16 Gennaio 2019
Mentre siamo in attesa all’accettazione del pronto soccorso vedo un uomo piangere.
Parla al telefono con non so chi, e piange a dirotto. Le spalle sussultano, la voce strozzata.
è grosso, alto, eppure sembra così piccolo.
Devo sforzarmi di non fissarlo, perché non sarebbe carino. Mi fa una gran tenerezza, mi chiedo cosa gli sarà mai successo.
Poveraccio. Magari un genitore è stato male. Magari la moglie, un figlio. Forse lui stesso.
Chissà.
Chissà se mi avrà visto, poche ore dopo, l’omone alto e grosso, fare esattamente lo stesso.
Chissà se avrà pensato: poveraccia, chissà che le è successo.
E poi impari pure a riconoscerli, quegli sguardi. Ne vedi a decine, durante i giorni passati in ospedale. Gli occhi lucidi, le schiena curva, lo sguardo assente.
Lo capisci subito, quando qualcuna ha un dolore che lo sta mordendo.
Perché a lui? Perché a noi?
me lo sono chiesta sì, ma non ho cercato risposte.
Perché invece non a quella grassona con il carrello pieno di schifezze al supermercato?
Perché non a quello che ha ucciso il figliastro a bastonate?
Perché non a quella vecchietta di 105 anni che ormai la vita se l’è goduta, i figli e i nipoti li ha visti crescere?
Perché?
Nessuna risposta. La vita è folle, la malattia e la morte sono molto democratiche, non fanno distinzioni di genere.
O forse è capitato a noi perché potevamo reggere. Perché possiamo farcela.
In fondo, perché non a noi?
Non siamo certo i più puri del pianeta.
Quando l’anno scorso avevamo avuto tutta quella serie di sfighe, il problema con la casa, Jacopo che era stato investito, io che mi ero fatta male a un piede, ci facevamo forza a vicenda, dicevamo, sorridendo: ehi, guarda che almeno abbiamo la salute.
Quindi no, non eravamo di quelli che non sanno di essere felici, e di essere fortunati.
Sapevamo di avere un dono immenso, la fortuna di essere sani, in forma, di avere una bella famiglia, di amarci.
Le nostre scelte, compresa quella di andare via lontano da tutti per 3 anni, sono state fatte con cognizione di causa.
Perché non volevamo sprecare neanche un giorno della nostra vita dietro a cose che spesso mettiamo al primo posto senza meritarlo.
Noi volevamo vivere. Stare insieme. Crescere nostro figlio. Goderci le nostre giornate.
Abbiamo fatto tutto quello che era possibile fare per essere felici, non ho rimpianti.
Non avevo bisogno che qualcosa mi ricordasse quanto fosse importante mio marito e quanto la vita la diamo per scontata.
Perché no, non l’ho mai data per scontata.
Eppure è successo anche a noi.
Già. Perché non a noi?
è stato come essere investiti da un TIR.
Improvvisamente l’uomo che hai accanto da 10 anni, che è sempre stato forte, saldo, equilibrato, diventa un uomo malato. Magro, emaciato, stanco, debole.
E tu ti ritrovi a fare cose che da sola pensavi non saresti riuscita a fare mai.
La forza di una tigre.
Quella forza che tiri fuori con tanta di quella veemenza che in certi momenti ti lascia scarica, sola, vuota.
Ti chiedi se ti ricaricherai mai. E poi, non si sa bene come, vai avanti.
Forse perché non c’è molta scelta, forse perché c’è bisogno di credere che passerà, che andrà meglio, che le cose si stabilizzeranno. E ci credi, devi crederci, che ce la si farà.
Ok, niente sarà mai più come prima.
Però saremo, in qualche modo.
Perché l’importante è esserci. Essere INSIEME. VIVI.
Perché sono in grado di reggere le trafile burocratiche, i litigi con gli impiegati agli sportelli, le mille cose da fare, gli appuntamenti, le lungaggini fiscali, le traduzioni dei termini tecnici, le telefonate agli esperti che si contraddicono.
Sono in grado di reggere di accudirlo, di fargli coraggio, di pulire la sua stomia, di assisterlo per gli effetti della terapia.
Di rassicurare amici e parenti. Di dire e ridire sempre le stesse cose, ascoltare sempre le stesse domande.
Ma non sono. Non sono in grado. Assolutamente non sono pronta.
A sopportare la sua assenza.
Tesoro, non ci sono parole, ma solo abbracci. Mi hai mozzato il fiato. Deve essere terribile ma sì, tu ce la farai. Hai l’amore a supportarti, a supportare entrambi. Ti stringo forte.
Solo l’amore ci salverà. Un abbraccio
A volte mi chiedo: pensa cosa ti aspettava. Pensa se l’avessi saputo. Penso “che stronzo il destino che lo sapeva e non mi ha detto niente.” Ma non esiste un “meglio” o un “peggio”. Una catastrofe ti arriva addosso e ti smembra comunque. Le domande smetteranno quando avrete recuperato una nuova stabilità. Dev’essere così, Chiara. Che questo chiasso disumano di paure tacerà. Prego sempre per voi. Come ho detto, non so in cosa credo: prego le forze della Vita, il Cosmo, chissà. Ma non smetto di pensarvi. Un abbraccio, con tantissimo affetto e un miliardo di speranze e di auguri.
Grazie. Un abbraccio grande
La forza e il coraggio che hai e che tuo marito ha e avrà, prendono vita dall’amore. E siete pieni di amore. Ce la farete, assieme. Sono piena di dispiacere per aver appreso questa notizia leggendo il tuo blog. Ti abbraccio molto forte, vi sostengo e vi penso…
Ciao Nadia… Spero voi tutto bene. Grazie per queste tue parole. Continua a pensarci e pregare nei modi in cui si può pregare… Un abbraccio