Un sabato mattina di Marzo, lo gnomo e suo padre sono usciti a fare una passeggiata.
Toc toc!
Bussano alla porta dopo un paio di ore.
Quando apro, mi trovo davanti un pesce.
Sì, proprio un pesce. Rosso. Piccolo. Nella sua ampolla di vetro.
Dietro l’ampolla, uno Jacopo felice e sorridente come non mai, come avesse avuto in mano un tesoro.
Dietro l’ampolla e dietro Jacopo, mio marito sorrideva sornione, ben sapendo la mia opinione a riguardo.
“Ma amooore che bel pesce!”
“Mamma è bellissimo l’ho chiamato Dotti”
“Tesoro non desideravo altro. Entra entra. Ecco. Il papà lo lasciamo fuori. Per il resto della sua vita.”
Io non sopporto i pesci in acquario.
Se provo a tollerare quelli con un acquario bello grande e adatto a loro, quelli solitari in una ampolla tonda mi fanno infinita pena, un po’ come tutti gli animali in gabbia.
E poi perché mai avremmo dovuto prendere un pesce?
In genere il pesce è qualcosa che si regala a un bambino che chiede un cane o un gatto.
Come a dirgli “to’, hai avuto un animale, ora accontentati”.
Noi il cane lo abbiamo già, e nonostante le piccole dimensioni dà il suo bel daffare.
Comporta un grande impegno ma ci ripaga di gioia e affetto e spero possa aiutare J ad avere più senso di responsabilità , quando sarà più grandicello e potrà occuparsene.
Ma il pesce?
Ho accettato mio malgrado. In fondo non dava nessun fastidio. A dargli da mangiare ci pensava mio marito, così come a cambiargli l’acqua, davanti a uno gnomo attento e osservatore.
Gnomo che, con le settimane, come era prevedibile, è passato da interi minuti a osservarlo, ad ignorarlo sempre di più.
Negli ultimi tempi non lo guardava neanche, e il cambio dell’acqua ha smesso di essere ‘sto gran divertimento.
Mentre eravamo in vacanza al mare, e mio marito invece era in città per lavoro, sono stata informata del fatto che stesse male.
“Dovresti vederlo, che pena. Lo trovo a pancia in su, poi si dà un colpo di coda e cerca di mettersi dritto, e va avanti così per qualche ora”.
L’immagine di questo minuscolo pesciolino, che cercava di lottare a suo modo per la vita, dandosi come la carica, mi ha messo un’infinita tristezza.
Finché un giorno, al rientro dal lavoro, l’ha trovato di nuovo a pancia in su, ma fermo, nessun colpo di coda per riattivarsi.
Mi è venuta in mente quella scena di Nemo, quando chiede al padre quanto vive una tartaruga.
Quanto vive un pesce rosso? Non so da quanto tempo fosse in negozio, solo 4 mesi è stata la sua permanenza a casa nostra.
Sono stata molto indecisa su cosa dire a Jacopo e alla nipotina, che è con noi per le vacanze e si era mostrata affascinata da questo pesciolino.
Dire o non dire la verità?
Ho optato per la bugia.
Forse perché troppo presto per parlare della morte, forse perché in fondo, mi sono detta, è solo un pesce rosso.
Forse perché non avevo lì per lì le parole.
“Bambini… mentre eravamo via Ale ha deciso di liberare Dotti e metterlo nel fiume, così adesso corre libero e felice insieme a altri pesciolini”
“E perché l’avete preso, allora?”
Chiede mia nipote con la sua mente da 6enne già complessa.
“Perché abbiamo sbagliato. I pesci devono stare in mare, o nel fiume, o nel lago o ovunque tranne che in una ampolla. Così come per tutti gli animali. Finché vivono dovrebbero essere liberi”
“E cosa mangia?”
Chiede Jacopo, più pragmatico.
“Quello che trova sul fiume, che gli dà la natura”
Mia nipote: “ma se lo zio ha preso Dotti e tu non volevi, allora sei arrabbiata?”
“Lo ero, ora l’ho perdonato”
Jacopo: “ma io voglio Dotti… Dotti”
“Lo so amore, spiace moltissimo anche a me.”
“Ma in quale fiume è?”
“È… è… guardate, un fenicottero gigante!”
“Woowwww!!! L’ho visto prima io!”
“NO, IO!”
“IO HO DETTOOOO!”
A volte distrarre è la migliore arma di difesa.