“Quando, da giovane, ci chiedevano: cosa c’è di più bello nella vita? E tutti rispondevano: “la fessa!”, io solo rispondevo: “l’odore delle case dei vecchi”.
Ero condannato alla sensibilità.”
Jap Gambardella, La Grande Bellezza
A me tutta questa faccenda della sensibilità, mi è sempre sembrata davvero una grossa inculata condanna.
Quando ero alle superiori la professoressa di italiano usava lasciarmi sempre una piccola dedica insieme al voto del tema. erano piccole pillole che leggevo con un briciolo di commozione, poco abituata a sentirmi fare dei complimenti come sono sempre stata.
Una volta, nel goffo tentativo di incitarmi a leggere un tema a voce alta, disse davanti a tutta la classe: “perché Chiara è tanto sensibile”.
Capì molto presto che così facendo firmò la condanna morte della mia vita sociale.
Per i compagni diventai “sensi“, nomignolo antipatico e malefico, che mi portai dietro fino alla maturità.
Ma all’università (che poi lasciai, in una delle mie solite botte di disistima) capì che le cose non sarebbero certo andate meglio.
La verità è che essere così SENSIBILE, semplicemente, non mi portava nessun guadagno.
I miei amici, i miei ex compagni e i miei ex colleghi, spesso con la profondità d’animo di una tavola da surf, sembravano tutti decisamente più realizzati, felici, spensierati e soprattutto con le idee più chiare di me.
Forse perché di idee sostanzialmente ne avevano molte meno, ma tant’è, quelle erano e quelle gli permettevano di vivere in santa pace.
Con i ragazzi non mi andava di certo meglio, persa in storie con personaggi dallo spessore di carta velina il cui TOP delle domande che erano in grado di porsi era: “in che pizzeria vediamo il derby?” o “perché non ti metti in topless che le hai così sode?“,
oppure migravo nel settore totalmente opposto,
quello composto dai tormentati fragili di cuore, poeti da strapazzo con la spina dorsale di un mollusco lasciato crepare sugli scogli.
non è un caso che gli unici che abbia amato veramente siano stati quelli irreprensibili, pragmatici, capaci di sorreggermi nelle cadute e semplificare i miei dilemmi esistenziali.
il mio attuale compagno sa a malapena cosa sia un blog, ha studiato motori per tutta la vita e quando una cosa è nera è nera, c’è poco da fare, se vede delle puntine di bianco le cancella, semplicemente.
Gli passo i miei libri e lui si addormenta alla decima pagina.
Quelle dieci pagine le coglie tutte, lo fanno pure annuire. Ma mai commuovere.
Non ce l’ha, questa sensibilità.
perché dovrebbe, d’altronde.
A che accidenti serve?
Per non parlare di quando la gente inizia a conoscermi, e guardandomi con quello sguardo intenerito che manco a un gattino abbandonato mi dice frasi tipo:
“oh ma come sei sensibile”.
e io ripenso al SENSI, a tutto quello che non ho avuto la forza di essere, mi viene voglia di chiudermi a guscio, come poi in realtà per tutta una vita ho fatto.
Col passare degli anni ho capito che la sensibilità in realtà ha dentro una forza immensa, ma che riuscire a virarla a propri vantaggio è realmente privilegio di pochi.
Specie se dalla tua parte hai una famiglia che non è in grado di capire, per costituzione mentale sua e per casini pregressi non ben definiti ma per cui tu devi, per quanto possa essere brutto dirlo, assolutamente non aggiungerne altri.
la sensibilità, se mixata con empatia e autostima, può portare lontano. Può essere un piccolo gradino in grado di condurti alla vera essenza della felicità, dove sentire non è più un handicap ma simbiosi con il mondo esterno.
è averle tutte e tre, nella giusta misura, che mi ha sempre fregato.
Guardo mio figlio, ipersensibile e suscettibile, mi chiedo se riuscirò a guidarlo.
Mi sono detta oh no, che sarebbe stato meglio fosse nato placido e semplice come certi altri bambini, auspico ancora che crescendo il suo carattere si semplifichi, che smetta di piangere per un cuscino messo al contrario, che per essere contento gli possa bastare un derby e due tette sode al vento, che infondo la vita è così dura che le persone ordinarie e banali se la vivono meglio.
Penso queste cose. ma non so se ci credo veramente.
Si aprirebbe un discorso enorme. E’ la sensibilità, che scrive. Questo potresti già annoverarlo tra i vantaggi. D’altro canto scriviamo perché esondiamo, e non sarebbe più furbo… semplicemente, non esondare? E’ un peso, una responsabilità, e anche un dono. Ma, di sicuro, è pure origine di mille fatiche. Io ragazzi banali non ne ho (quasi) mai voluti, però facevo spola, tra il buono-noioso e il creativo-ma-stronzo. Alla fine l’uomo che ho sposato aveva un grande spessore e spazi giganteschi dove le mie vette e i miei abissi potessero ‘essere’. A volte non mi basta più: vorrei che lui cavalcasse con me le mie altitudini, non mi basta sapere che c’è, sui suoi solidi terrazzamenti. Però non so come potrei cavarmela con uno altalenante e fragile quanto me. Alla fine quello che lui, sicuramente, ha, è che non ha la paura che ho io, di me stessa.
Sai, questa cosa che è la sensibilità che scrive, la scrivi perché scrivere è per te importante. Infondo ci tiene negli argini, va bene. Ma io vorrei a volte NON avere niente per cui esondare. Essere acqua cheta e ferma. Scorro,faccio il mio Corso e ciao. “Che palle”,ma no, tanto io cosa ne so, che sono acqua cheta, talmente cheta che non mi guardo neanche intorno né mi faccio domande. E guarda, io alle volte impreco col mio compagno: ma come fai a non commuoverti davanti a questa poesia, a questo film, a questo passaggio! Guarda, senti, senti! Però si,lo so benissimo come me la caverei con uno come me: molto,molto male oltre una bellissima settimana insieme a fissare il mare. Ma non si vive solo fissando il mare
Tanto, voglio dire… così siamo. Acqua placida non saremo mai. Anzi sì, io per una settimana lo sono stata. Non ce l’ho fatta. Magari ci faccio un post, se mi resta la voglia. Poi sono scoppiata, mi mancava… me. Oltre alla scrittura c’è un altro vantaggio, cui tu stessa accennavi: empatia e condivisione. Se riusciamo a connetterci agli altri, li ‘sentiamo’ e accogliamo con grande capacità e comprensione.
Già, così siamo. Credo faccia parte tutto alla fine sempre dello stesso grande, difficile pacchetto: quello dell’accettazione. Dovrebbero insegnarlo a scuola insieme alla storia, come si fa ad accettarsi.
Io invece l’altro lato della medaglia, la Non Sensibile per eccellenza dipinta da sempre come cinica, di quel cinismo che si ha quando si supera l’ironia di centinaia di chilometri, impetuosa e menefreghista dicevano a scuola, spalmatori di etichette; la verità è che spesso preferisci alzare delle barriere alte, altissime direi che nessuno riesce a scalare e forse qualche volta nemmeno lui ci riesce dicendomi tanto a te non te ne frega niente,insomma guerra perpetua sì, ma acque chete non credo lo saremo mai…
Come ti capisco. Ho passato una vita a nascondermi. Qualcuno scovava una fessura, provava ad entrare, ma io scappavo oppure mi difendevo. Perché la paura è una brutta bestia, ti mangia davvero la vita, ti trasforma.
Siamo come siamo…non possiamo cambiare. Mi sono ritrovata nelle tue parole ma non la vedo così nera…sono sensibile e a mio figlio insegnerò che mostrare i propri sentimenti e le proprie debolezze è sintomo di grande apertura mentale…ce la farò? Non non lo so…lui però ha un carattere forte, ha preso dal papà
È che sensibilità unità a autostima e consapevolezza può essere una grande forza. Altrimenti si arranca, si flette come foglie al vento. Hai detto bene sai? L’insegnamento più grande che possiamo dare è insegnare ai nostri figli ad accettarsi e credere in se stessi, anche se magari si è diversi dalla massa. Solo così impareranno a gestire la loro vita emotiva. Dare gli strumenti giusti, questo è il compito. Il fatto è che a me nessuno li ha mai dati, e quindi tutto ha fatto più male. Ma ci sarebbero più di trent’anni da raccontare 😂
La mia sensibilità mi è sempre sembrata sinonimo di fragilità e forse in parte lo è stata e lo è ancora. Ma sto provando a trasformarla in una risorsa, non so se ci riuscirò, ma ci provo.
È un attimo, che diventi fragilità, specie se non si hanno i giusti strumenti per proteggersi. Maturando, con gli anni, qua sembra andare decisamente meglio. 💪 Ci provo anche io quotidianamente
oh Chiara! Siamo proprio simili..anche io sono iper sensibile..e devo dire che, come te, non ho ricavato per ora grandi vantaggi da questa sensibilità. Anzi. L’essere sensibile amplifica tutte le esperienze, quelle piacevoli e quelle poco piacevoli..e non sempre si viene capite dagli altri (dalla famiglia poi…)
Anche io ho un compagno mattone..mentre io sono un palloncino che, se non ci fosse lui a tenermi, volerebbe via ad ogni soffio di vento..
Mi viene spesso in mente quella canzone di Bersani.”io per un niente vado giù, e se ci penso mi da i brividi”… Il punto è che fragilità e sensibilità si fondono e confondono spesso. Bisogna avere la forza di accettarsi e andare avanti, stare a galla. Mica facile, specie se non hai solide basi. 😥